iao a tutti i lettori del Transizionario.
In questo post vorrei riprendere la questione di cui ho già accennato spiegando il termine “Transessuale”: desidero portavi ad approfondire la questione iniziando appunto dal disturbo dell’identità di genere (spesso abbreviato in DIG), detto anche disforia di genere.
Come vi avevo accennato il DIG è una condizione in cui una persona ha una forte e persistente identificazione nel sesso opposto a quello biologico o comunque assegnato anagraficamente alla nascita.
Il termine disforia di genere venne introdotto nel 1971 da Donald Laub e Norman Fisk. Da ricordare bene ciò in cui tante persone fanno confusione: il DIG è indipendente dall’orientamento sessuale e non va confuso con esso; infatti una Transessuale da maschio a femmina (MtF o M2F o Male to Female o Maschio transizionante Femmina) può essere eterosessuale o lesbica, così come un Transessuale da femmina a maschio (FtM o F2M o Female to Male o Femmina transizionante Maschio) può essere eterosessuale o gay. Alcuni studi hanno trovato un rapporto fra orientamento sessuale e soggetto con transessualismo primario o secondario, tuttavia la stessa definizione di transessualismo primario o secondario è stata molto discussa perché opinabile…
La Diagnosi o Patologia, se così vogliamo chiamarla, di DIG è catalogata fra i disturbi mentali del DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), tuttavia viene definito autenticamente transessuale (per l’ottenimento del consenso per il cambio di sesso) solo chi non ha psicopatologia associata, in altre parole, chi non ha un disturbo mentale. Secondo Peggy Cohen-Kettenis, questa contraddizione in termini è dovuta più che altro a motivi pratici: se, ad esempio, il il DIG non fosse classificato come disturbo mentale nel DSM-IV, le compagnie assicurative di diversi Paesi o le ASL Italiane non coprirebbero le spese di trattamento, e quindi le persone transessuali si dovrebbero pagare privatamente tutte le spese associate al percorso di transizione. Questo è attualmente in discussione in seno alla stesura della prossima edizione del manuale, il DSM-V (previsto per il 2011).
Secondo il DSM-IV, i criteri diagnostici per identificare il disturbo dell’identità di genere sono i seguenti (fonte dello schema seguente, Wikipedia):
1. Il soggetto si identifica in maniera intensa e persistente con individui di sesso opposto (a quello anagrafico);
2. Questa identificazione non deve essere semplicemente un desiderio di qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’appartenenza al sesso opposto (a quello anagrafico);
3. Deve esserci l’evidenza di una condizione di malessere persistente o di estraneità riguardo al proprio sesso anagrafico;
4. L’individuo non deve presentare una condizione di intersessualità (es. sindrome di Ermafroditismo e o sindrome di Klinefelter);
5. Deve esserci un disagio clinicamente significativo o compromissione in ambito sociale, lavorativo e nelle relazioni interpersonali.
Anche secondo Anne Vitale il manuale sarebbe da rivedere: in seguito ai suoi studi, la ricercatrice propone una personale teoria e suggerisce che il termine “disturbo di identità di genere” venga rinominato “disturbo d’ansia da deprivazione dell’espressione di genere” (Gender Expression Deprivation Anxiety Disorder o, in sigla, GEDAD).
Un grande abbraccio ai lettori che continuano e continueranno a leggermi, grazie…
Antonia Monopoli