Corrado Del Bo’ è docente di Teoria della Giustizia presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’università statale di Milano. Sabato 29 novembre presso la sede di via Don Minzoni 129, Sesto San Giovanni (MI), Corrado sarà ospite al Circolo culturale TBGL Harvey Milk e presenterà il suo nuovo saggio “La neutralità necessaria”, edizioni ETS , ore 18 aperitivo e ore 19 inizio del dibattito. Partiamo dal sottotitolo del libro,
“Liberalismo e religione nell’età del pluralismo”, ci inoltreremo nella conoscenza di un libro che ci porterà a formulare domande sui fondamenti della nostra convivenza sociale, sul futuro della legge come base di condivisione di una comunità, di diritti umani e di cittadinanza e di rapporto, questo sempre difficile e tortuoso nel nostro paese, tra organi istituzionali e confessioni religiose: non mancheremo di parlare di laicità e di terzietà della norma, così come di diritti Lgbt e di sentenze di organi giurisprudenziali, la Corte Costituzionale, spesso interprete estensivo e affermativo di principi di liberalità non sempre tutelati e promossi dagli organi rappresentativi della cittadinanza. Abbiamo intervistato l’autore, Corrado Del Bo’, anticipando i punti che affronteremo in quella serata.
Corrado che cosa significa neutralità?
Neutralità significa che le istituzioni pubbliche non devono favorire alcuna dottrina (religiosa, morale o filosofica) rispetto alle altre, né per converso discriminarne alcuna a vantaggio di altre. La possiamo interpretare come neutralità degli effetti delle azioni delle istituzioni o come neutralità della giustificazione di tali azioni: nel primo caso, contano le conseguenze (economiche, giuridiche, simboliche) dell’agire istituzionale e devono essere identiche per tutte (nel libro spiego come ciò sia possibile); nel secondo, occorre che le ragioni a sostegno di una specifica proposta non siano fondate su una specifica dottrina, cioè configurino una giustificazione pubblica.
Quali connessioni tra neutralità, come base fondante di un principio giuridico e culturale sociale, e liberalismo, oggi e nella storia?
Nella storia non saprei, ma oggi la neutralità è al cuore del liberalismo politico, una proposta normativa presentata e difesa dal più grande filosofo politico del XX secolo, John Rawls, nella sua seconda grande opera dal titolo omonimo, pubblicata nel 1993 (la prima, com è noto, era Una teoria della giustizia, uscita nel 1971). Il liberalismo neutralista è una delle opzioni interne alla famiglia liberale: si fonda sulla possibilità di distinguere, a livello filosofico, il giusto dal bene e di dare priorità al primo, e attraverso questa mossa sottrarre il liberalismo all’accusa di essere una narrazione vincente per liberali già convinti (o una dottrina settaria, nelle parole di Rawls).
L’Italia e l’Europa a quali livelli si pongono in riferimento a questi due principi e valori, in campo giuridico e in campo sociale e culturale?
La neutralità si sta affermando in Europa come descrizione della laicità, nel senso quindi di neutralità religiosa. Ma è chiaro che, soprattutto in certi Paesi (e l’Italia è tra questi), la resistenza è forte e l’appoggiarsi a “culture” dominanti, religiose o meno, è ciò che spesso accade nei fatti; e dunque la neutralità risulta criticata e osteggiata.
Nel capitolo 5 del tuo saggio parli di laicità della Corte Costituzionale: come si è affermata attraverso le attività e le sentenze dell’organismo istituzionale, nonostante, come scriva tu, nella Costituzione stessa ci sia “un’assenza del termine”, a differenza, come aggiungi nel capitolo, della Costituzione francese, per esempio?
Il principio della laicità dello Stato è principio supremo dell’ordinamento, ma ciò discende non dalla lettera del testo costituzionale ma da un’attività interpretativa contenuta della Corte costituzionale, che, con la nota sentenza 203/1989, ha stabilito che “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. Esistono poi alcune altre sentenze della Corte che hanno fatto precisazioni ulteriori, mettendo in gioco la questione dell’euidistanza e la neutralità dello Stato. Su come interpretare correttamente il principio di laicità esiste in ogni modo un corposo dibattito, e a mia volta ne offro anch’io una possibile lettura nel mio libro, in cui pongo come centrale la cosiddetta “distinzione degli ordini”; ma naturalmente è inaccettabile che talvolta il principio di laicità venga stiracchiato come fece qualche anno fa il TAR del Veneto, che definì il crocifisso simbolo di laicità.
Possiamo, quindi, parlare del rapporto tra laicità e neutralità come una “questione concettuale”, soprattutto quando si parla di principio di neutralità come proposta di “una particolare soluzione teorica per i conflitti in senso ampio culturali”?
Direi proprio di sì. E anzi il senso del mio senso è esattamente questo, mostrare come il principio di neutralità possa reggere il peso teorico della soluzione dei conflitti culturali. Questo presuppone un’opera di chiarimento sul concetto di neutralità e una definizione dei rapporti, ancora una volta concettuali, che sussistono tra neutralità e laicità.
Secolarismo, permeabilità delle istituzioni legislative al dettato morale di impronta clericale, prevalenza di ideologie confessionali su una necessaria normativa neutrale e, quindi, non favoreggiante questa o quella dottrina ma, bensì, la collettività: a farne le spese spesso sono i diritti Lgbt, ancora fortemente ostacolati nel loro compimento. Quali sole prospettive socio giuridiche e istituzionali che vedi in futuro per il Paese e come uscire da questo impasse? Parli, appunto, di una Corte Cosituzionale che, molto spesso, a differenza degli organi legislativi, ha utilizzato metodi interpretativi dell’ordinamento fondando si sul principio di neutralità liberale del testo normativo: tutto questo influenzerà l’attività del Parlamento, così come sostengono diverse associazioni di giuristi e avvocati che, tramite “affermazione civile” considerano necessario procedere per vie giurisprudenziali per garantire la necessità di approvazione di leggi a favore dei diritti Lgbt?
Parlo questa volta non da teorico ma da cittadino che osserva, come tutti, quel che accade. Mi pare che la comunità Lgtb debba nutrire una ragionevole fiducia negli organi giurisdizionali, più che nei legislatori che si alternano sulla scena politica. A differenza di altri periodi storici, il riconoscimento di diritti o la soppressione di ingiustificate discriminazioni mi sembra che oggi in Italia passi soprattutto per i tribunali: pensiamo al caso di Eluana Englaro o al progressivo smantellamento della legge 40, giusto per fare due esempi molto noti. Temo sarà un processo non brevissimo, ma la direzione è tracciata.
Neutralità liberale vuol dire che esiste un’etica laica: secondo quali principi teorici del diritto e della legge, storici o contemporanei, si fonda quest’ultima; ossia a quale principio e obiettivo dovrebbe ispirarmi una norma e una concezione giuridica di stato laico, liberale e, quindi, neutrale nelle sue fondamenta?
A me pare che il principio di neutralità discenda da un ideale di eguale rispetto dovuto a tutte le persone, che può trovare un fondamento giuridico nell’articolo 3 della nostra Costituzione. Per fare un esempio: uno Stato che non prende posizione tra le diverse confessioni religiose presenti sul suo territorio considera tutti i cittadini allo stesso modo; diversamente, alcuni sarebbero cittadini di serie B, poiché le loro credenze finirebbero per ottenere una diversa (e inferiore) considerazione.
L’assenza di neutralità nella storia dell’Italia istituzionale e giuridica pone un problema fondamentale culturale delle prospettive e delle basi della concezione liberale di stato: quali sono le radici di questa lacuna, oggi ancora presente?
Qui servirebbe uno storico o un sociologo per rispondere, ma mi pare che una risposta sensata non possa non rimandare alle culture politiche che si sono affermate in Italia nel Novecento. Per fermarci al secondo dopoguerra, liberalismo era guardato con sospetto sia dai cattolici sia dai comunisti, per ragioni che si possono anche comprendere dall’interno di quelle prospettive. Bisogna anche dire che il liberalismo è cambiato nel corso dei decenni, tanto è vero che si può essere liberali avendo a cuore le sorti dei più deboli e invocando ridistribuzioni della ricchezza anche molto importanti.
Intervista a cura di Alessandro Rizzo