Monica Romano è responsabile sportello “Identità di Genere” presso il Milk e al Milk, venerdì 4 aprile, ore 18, aperitivo, ore 19, inizio confronto, sarà presente per introdurre, insieme a Edoardo Dallari e Antonio Peligra, un confronto e un dialogo su Michel Foucault: inizio di una serie di incontri e di momenti di condivisione su una delle figure maggiori del Novecento filosofico. “L’esperienza transgenere – anticipa Monica nell’intervista fattale – dal punto di vista sociale: l’oppressione, la riaffermazione della dignità di una realtà marginalizzata e stigmatizzata, ed il riconoscimento”, presentando, così, il suo punto di vista su Michel Foucault, in riferimento soprattutto alla sua tesi.
Monica Romano:
“Sono un’attivista, responsabile dello sportello “Identità di Genere” presso il Milk. Da diversi anni sono impegnata nella tutela e nella promozione del diritto all’identità/libertà di genere.
Sono venuta a contatto con l’elaborazione di Foucault preparando la mia tesi di laurea, che trattava il tema della transessualità come oggetto di discriminazione, nel 2007. Su indicazione della correlatrice della mia tesi, una docente di filosofia politica, ho richiamato il filosofo nell’analisi dei tre momenti che connotano l’esperienza transgenere dal punto di vista sociale: l’oppressione, la riaffermazione della dignità di una realtà marginalizzata e stigmatizzata, ed il riconoscimento.
Nel definire le cause dell’oppressione di quelle espressioni identitarie, così come di quelle culture che non rientrano nella dicotomia maschile/femminile, ho richiamato quella visione della ragione scientifica moderna che Foucault definì “sguardo normalizzatore”, che ha portato alla concettualizzazione di alcuni gruppi come diversi, in contrapposizione alla rispettabilità di altri gruppi definiti soggetti neutri, messa in atto dalla cultura scientifica, estetica e morale dell’Ottocento e del primo Novecento. Questa concettualizzazione ha fatto sì che, a partire dal XIX secolo, nelle società giudaiche, cristiane e islamiche, la naturale“variabilità di genere” dell’essere umano sia stata inquadrata come patologia. Con la mia tesi intendevo evidenziare come identità e culture transgenere siano da sempre esistite, e quale ruolo abbiano avuto l’occidentalizzazione e la modernizzazione nel rendere una patologia psichiatrica quella che in precedenza era stata un opzione identitaria riconosciuta da culture anche millenarie, e devo dire che in questo Foucault mi è stato d’aiuto. Non sono una studiosa di filosofia, né un’esperta di Foucault, ma l’idea che mi sono fatta leggendo questo filosofo e facendo riferimento alla sua macchina analitica è che, anche a trent’anni dalla sua morte, la sua “boite à outils”, la scatola di attrezzi, come lui stesso amava definire le sue analisi, resti uno strumento importante per comprendere la nostra attualità”.
Intervista a cura di Alessandro Rizzo