Sabato 26 settembre alle ore 17 presso la sede Guado di Milano, Via Soperga 36, il Circolo Culturale TBGL Harvey Milk promuove un incontro dal tema “Vudù, poliamore e temi lgbt”: l’incontro sarà tenuto da Denise Farinato, che abbiamo già avuto modo di conoscere e che ci introdurrà in questa filosofia religiosa, affrontandola sotto diversi punti di vista. Abbiamo intervistato Denise, in attesa dell’iniziativa per meglio iniziare a comprendere il tema e il contenuto che verranno affrontati.
Che cos’è il vudù: la sua storia, il suo presente, la sua base sociale e sociologica?
Vudù (italianizzazione del termine vodou, o vodoun) è una parola di origine Fon, che significa “spirito”, “invisibile” e designa in maniera aspecifica diverse branche religiose molto differenti tra loro. Per esperienza personale parlerò da qui in poi del vudù dominicano ed haitiano, che ho la fortuna di praticare, entrambi molto diversi rispetto al vudù africano, e anche dal voodoo di New Orleans, ad esempio. Ad ogni modo, riferendomi al calderone delle religioni afrocaraibiche, parlando di vudù si parla di una religione in senso stretto. Esiste un sistema di credenze, di ritualità, misticismo e fini terreno ed ultraterreno preciso; nello specifico si parla di una religione monoteista, che considera l’esistenza di un solo Dio (chiamato Gran Met oppure Bondye), al di là del bene e del male, responsabile della creazione ma da cui è infinitamente distante. Il Bondye vuduisant non è molto diverso dal principio creativo cabbalistico: esiste oltre la concezione umana, storicamente determinata e materiale, ed è inintelligibile dall’uomo, eternamente diviso tra l’impulso creativo e distruttivo; ciò non di meno l’impulso creativo ha avuto luogo, riversandosi nel materiale e questa massa informe è infusa della vita, dello spirito, in un certo senso, dei Lwa (o Loa). I lwa sono la manifestazione intelliggibile del divino, in una forma forse più sottile del mero concetto “animista” di materia infusa di vita. In un certo senso, è vicina al modo antico romano di percepire il divino, come categoria rilevante per l’umano, oltre la manifestazione naturale. Per capire le differenze di sviluppo del vudù afrocaraibico e la sua grande adattabilità. è necessario comprenderne la genesi, da un punto di vista storico.
Nel dicembre del 1492 Cristoforo Colombo mise piede ad Ayti, isola fertile, popolata dagli indigeni Taino (è discussa la loro appartenenza agli Arawak), che presto vennero decimati dagli spagnoli, desiderosi di conquistare gli scarsi giacimenti auriferi dell’isola, dalle malattie e dalle conseguenze dello schiavismo; è anche da considerare, inoltre, la progenie mista spagnola-Taino, in virtù del fatto che gli spagnoli non portarono donne con sé. Il fenomeno del marronage, ovvero la fuga degli schiavi, sopratutto in territorio boschivo e montuoso, iniziò con lo schiavismo indigeno, ma assunse dimensioni considerevoli sopratutto quando, abbandonata l’idea di sfruttare l’isola per l’oro, gli spagnoli iniziarono a gestire le cosidette encomiendas, ovverso piantagioni di zucchero, cotone, tabacco, cacao, caffè e così via; per sopperire alla continua richiesta di manodopera, iniziò ben presto l’importazione di schiavi dall’Africa, in particolar modo dal Dahomey (attuale Benin), anche con la complicità dei re africani che in questo modo, potevano disfarsi di nemici politici, criminali, prigionieri di guerra (sfruttando le conquiste belliche) e così via. Il fenomeno del marronage assunse proporzioni sempre maggiori, consentendo ai fuggitivi africani di entrare in contatto con i taino superstiti. Nel 1697 l’isola di Hispaniola venne divisa in virtù del trattato di Ryswick, tra francesi e spagnoli; la parte francese (Saint Dominique) garantiva il 60% dell’apporto mondiale di caffè ed il 40% di quello di zucchero, con un prevedibile aumento del commercio di schiavi, in proporzione. La popolazione dell’isola era divisa in quattro grandi branche: i grand blancs, proprietari terrieri e di schiavi; i petit blancs, commercianti e medio borghesi; gents de coleur, cioè uomini liberi di colore o mulatti, che a loro volta volevano marcare la distinzione con la grande maggioranza della popolazione dell’isola, ovverosia gli schiavi, perlopiù di colore e che a sua volta era invisa ai blancs per via del colore della pelle. Gli schiavi fuggitivi, sopratutto sotto il comando di Makandale (l’avvelenatore) iniziarono a compiere razzie nelle piantagioni, per liberare altri schiavi, mentre nel 1789 una coalizione di gens del coleur che chiedeva pari diritti arrivò allo scontro armato con i blancs. Il 14 agosto 1791 a Bwa Kayman iniziò la rivolta degli schiavi: durante una cerimonia, un maiale nero venne offerto ai lwa per ottenere la libertà; variamente si presume sia stato offerto a Sili Danto, da Mambo Marinett (assieme a Boukman), oppure che Sili Danto fosse all’epoca una donna in carne ed ossa. Ad ogni modo, da lì, esplose la rivolta. I francesi reagirono inviando un contingente armato e garantendo alla gens de coleur pari diritti; in reazione, i blancs consegnarono l’isola agli inglesi, che si allearono agli spagnoli in funzione antifrancese. I francesi, inaspettatamente, si unirono agli schiavi e alla gens de coleur, sotto la guida del generale L’ Overture, uno schiavo nero spagnolo, il quale riuscì a dare vita a uno Stato semi-autonomo, ma vicino alla politica francese. Napoleone contrastò questo stato di cose, arrivando a catturare L’Overture con una trappola; gli successe Dessalines, che diede vita il 1 gennaio 1804 alla prima repubblica nera, dopo aver liberato tutta l’isola e averla chiamata Haiti. A dispetto del crudele trattamento riservato agli schiavisti, garantì libertà di religione ed espunse dall’isola il razzismo, garantendo pari diritti a tutti i neg, i neri, ovvero la popolazione totale dell’isola, chiamati così a prescindere dal colore della pelle. Fino al 1860 i preti cattolici saranno tenuti oltre i confini dell’isola, la quale soffrirà sempre di una cronica instabilità politica, via via aggravata dalla cattiva gestione economica e politica e dalle pesanti ingerenze straniere. Il rapporto con il vudù è sempre stato altalenante e peculiare: se ha dato avvio alla rivoluzione che ha liberato Haiti, ha anche prestato il volto alla lunga dittatura di Papa Doc Duvalier, che si rifece all’immaginario vudù tanto per giustificare il suo potere che per incutere timore: basti pensare al fatto che si considerasse lui stesso incarnazione di Baron Samedi o che usasse alternativamente, simboli immediati in rimando ai ghede per la polizia segreta ( i Tonton Macoute) oppure quelli più rassicuranti di Cousin Azaka, un lwa agriculturale, per la milizia volontaria di sicurezza nazionale, impiegata sopratutto nelle campagne, dove il culto di Azaka è per ovvie ragioni, molto diffuso. Effettivamente, Papa Doc si avvalse del ruolo preponderante che il vudù poteva avere nelle zone agricole di Haiti, dove gli houngan e le mambo avevano non solo il ruolo di preti, ma amministravano le comunità rurali sotto l’aspetto giudiziario, medico e così via; peculiare fu anche la funzione antistraniera e antibianca con cui usò il fattore religioso, si dice fosse un houngan egli stesso e similmente lo fossero i membri dei Tonton Macoute. Attualmente, grazie forse ad internet o ad un movimento globale generale, il vudù si è diffuso anche oltre la sua culla natale, tanto che molte persone, anche prive di discendenze haitiane (o domincane), sono state chiamate al servizio. Io, ad esempio, sono una di quelle.
Possiamo definirla filosofia religiosa e in che cosa consiste?
Il vudù è una filosofia religiosa, assolutamente. Esiste, come accennato, la credenza in un unico Dio creatore, ma distante e non conoscibile; ciò che ci è consentito conoscere è il particolare, tramite al quale si può arrivare al generale, ovvero alla conoscenza di Dio e delle sue leggi, che tutto permeano, e ciò avviene tramite il culto riservato ai Lwa. La parola in sé significa legge, cioè le leggi divine che animano il mondo – e quindi anche l’uomo; spesso vengono chiamati anche Misteri; espirt, spiriti; invisibili; vodou-lezanji (angeli vodou) o santi. Se Dio come impulso creatore e distruttore, è un concetto astorico, distante dai moti umani, non lo sono i lwa, che possono allontanarsi o avvicinarsi a seconda delle epoche storiche, avere maggiore o minore forza, chiedere l’iniziazione di più o meno figli a seconda del periodo (ad esempio raramente ora compaiono come Ma Tet lwa particolarmente legati al misticismo); ancora, alcuni nuovi lwa possono nascere, come Erzulie To, l’unico Erzulie (le signore) maschio, legato alle nuove comunicazioni e ai moderni media. Il concetto di lwa racchiude in sé tanto l’archetipo generale che esso esprime, quanto il modo che la persona ha di vivere quell’archetipo nella propria vita. È un concetto complesso: ogni persona si considera legata, sopratutto per questioni di sangue (ma talvolta anche di lavoro o di scelte di vita) a determinati lwa che si esprimono nella sua vita in una maniera particolare, giustificata anche dal fatto che gli antenati viventi possono essere diventati a loro volta lwa (come Mambo Marinett, ad esempio) oppure aver vissuto in maniera consona ad un determinato lwa (ad esempio, un soldato con un Ogun, uno dei guerrieri) ed essere così diventato o un aspetto distinto del lwa, oppure essere rientrato nella linea del lwa, e quindi aver chiamato e preteso il culto dal suo discendente. Questo culto avviene in privato e con le cerimonie collettive delle varie case, tramite offerte, musiche, danze ritualistiche che aiutano ad indurre la possessione. Sono pratiche che, vorrei sottolineare, non sono aliene alla più considerata via cabbalistica, e sono tutte presenti nella cultura greco-romana come importante momento di connessione con il divino. Tramite il contatto con i lwa, la divinazione, la conoscenza in quanto tale, si compie lo scopo di arrivare dal particolare al generale; per effetto del sincretismo e dell’avanzamento delle ricerche in campo antropologico, per altro, recentemente il concetto di reincarnazione è stato introdotto nel vudù, ed inizia a prendere piede (è comunque un topic tradizionale per alcune dottrine africane), in genere un antenato che non torni come lwa (come segnalato), se non si considera rinato, si presume sia altrove, sotto le acque abissali. È significativa l’assenza di ritualità che segnino i vari momenti di passaggio fisici (come ad esempio, la maggiore età), a favore di riti che segnano la maturità spirituale, eccezion fatta per la nascita e la morte. In ogni caso, non esiste solo una ragione metafisica e spirituale nella pratica: lo scopo che si vuole raggiungere è l’autocoscienza, la disciplina, dal momento che l’altare privato di un individuo racconta la sua storia, la sua anima; inoltre, mancando un sistema etico dogmatico (come i dieci comandamenti) si considera in primo luogo la scelta del singolo, come metodo di azione sul mondo. Il male, espunto il concetto di peccato, è considerato il risultato di un disequilibrio, non tanto di una punizione in quanto tale (al di là di casi specifici). Esiste una gerarchia religiosa, indistintamente maschile e femminile, che si differenzia tra le due forme dominicana ed haitiana, ma non un’autorità religiosa centrale, paragonabile ad esempio al Papa cattolico, tanto che la forma del culto varia di casa in casa. Importante è la considerazione che vuole questo mondo animato e interconnesso, quindi l’archetipo Albero (Grand Bwa) o Mare (Mèt Agwe Tawoyo) è presente nell’uomo, in diversa misura, con la modalità prima espressa; il dolore fa parte dell’esperienza che una persona si trova a vivere, del suo percorso (chiamato La Stella), ma non è punitivo, come detto, nella maggior parte dei casi, quanto piuttosto esperienziale o frutto di un disequilibrio; come le vie cabbalistiche inoltre, considerata la divinizzazione insita nella materia, non si considera l’ascetismo una pratica generalmente consona (a meno che la persona non sia legata a lwa particolari) ma si è generalmente incitati ad immergersi nel mondo, a conoscerlo (quindi nessuna negazione della scienza) e a conoscere parimenti sé stessi, in un’ottica di costante equilibrio. L’anima, aggiungo, è considerata divisa: un soffio divino in grado di “tornare a Dio”, il Gros Bon Ange; una parte etica, storicamente determinata, il Ti Bon Ange; ed un corpo materiale, il corpe cadavre.
La cultura connessa a tale pratica trova radici nel sincretismo e nel panteismo: puoi meglio inquadrare il tema?
Per quel che concerne il panteismo, ho già accennato all’essenza dei lwa, rispetto a Bondye, che crea e permea la creazione, ma che ne resta al di fuori. Il sincretismo è uno dei tratti maggiormente affascinanti, per quel che mi concerne, perché dimostra l’estrema adattabilità di questa pratica religiosa, al di là delle resistenze dei singoli praticanti. La storia peculiare di Haiti, e la nascita stessa del vudù haitiano denuncia fin dal principio l’esistenza di una forte sensibilità e volontà di coesione; la stragrande maggioranza degli schiavi importati ad Haiti provenivano dal Dahomey, che aveva un governo stabile ed una tradizione di déi conservatori, placidi e sostanzialmente benevoli, la cui natura mal si adattava alle terribili condizioni della cattività. Nondimeno, dalla città di Allada, deriva la parola Rada, che designa una delle nazioni più importanti di spiriti vudù; per venire incontro alle comuni esigenze difatti, la stessa struttura del vudù haitiano è concepita come un consesso di nazioni sacre: diciannove per le etnie africane, una per le Americhe, una per l’Europa (per quanto correnti identitarie ed estremiste nere contestino questa attribuzione, a mio avviso per pregiudizio storico-ideologico). È in virtù di ciò che il vudù haitiano ricomprende quindi tutte le forme di culto diffuse in America latina: ad esempio, gli Yoruba (Nigeria) ed i Congo che a Cuba hanno dato vita rispettivamente alla Santeria e al Palo, si traducono nella nazione Oguned in parte a quella Congo (per ciò che concerne principalmente il Palo). I Taino contribuirono enormemente alla definizione e alla pratica del vudù haitiano, dando vita alla nazione Petro (oltre che ai Simbi, entrambi compresi nella nazione Congo): considerata più violenta, stregonesca, meglio rispondente alle esigenze bellicose dei rivoluzionari. In realtà, nulla si considera come davvero cattivo nel vudù, perché importa l’uso che si fa di una certa energia (nuovamente torna centrale il tema della libera scelta dell’individuo). Si ritrovano poi nel vudù elementi martinisti, massonici, arabi, ed anche l’iconografia cattolica spesso usata negli altari si può far rientrare in questo alveo. Come religione estremamente adattabile, poi, non è raro vedere negli altari immagini di Shiva e Parvati, spesso associati a Damballah e Aida Hwedo, oppure di Rambo per rappresentare Ogun; talvolta si incontrano lwa che sono esattamente il santo che si evoca, come nel caso di Filomiz, che si considera essere effettivamente Santa Filomena, la vergine di origine italiana; Maman Brigitte, controparte di Baron Samedi, è generalmente accettata come rossa di capelli e bianca di pelle , probabilmente in conseguenza della vendita di giovani ragazze madri irlandesi come schiave, tanto che il lwa protegge le partorienti (oltre che i bambini, come generalmente fanno i ghede). Il vudù dominicano non ha il concetto di nazione, invece, ma di divisione: si considera la diversa vibrazione, su basi strutturali leggermente diverse. Il discorso sarà approfondito durante la conferenza.
Dove è maggiormente diffuso il vudù?
Il vudù è molto diffuso in varie zone dell’America Latina, toccate sopratutto dall’immigrazione haitiana e dominicana (come ad esempio Cuba), negli Usa e solo di recente è approdato a pieno titolo in Europa. Ci sono ancora fortissime resistenze, anche di natura ideologica (per i movimenti identitari neri) ed economiche, ai praticanti esterni e sopratutto alle iniziazioni fuori dai territori natali. Fuori dalla pratica delle due dottrine in esame, il vudù africano (nella variante ad esempio di Mami Wata) è diffuso ovviamente in Africa, con diverse varianti; ci sono poi il vudù di New Orleans e così via. Tengo fuori dal discorso Santeria, Candomblè, Palo e via discorrendo, i quali hanno una propria diffusione, struttura e spesso con differenze sostanziali rispetto al vudù.
Quali sono le connessioni tra tale cultura religiosa e pratica e la comunità lgbt?
Come anticipato, nel vudù non esistono dogmi morali: esiste la considerazione della libera scelta dell’individuo. Il vudù non si occupa, collettivamente, della sessualità e dell’affettività dell’individuo; sono temi molto importanti, come verrà illustrato qui e durante il nostro incontro, ma non riguardano la collettività quanto piuttosto la sfera privata dell’individuo (e quindi, di contro, il rapporto con i propri lwa). Ovviamente, il discorso che intraprendo non riguarda il singolo praticante o iniziato, che può avere una sua visione personale ed in genere ci sono case che hanno un’impronta più o meno cattolica o anche movimenti identitari che vorrebbero l’omosessualità e la transessualità importata direttamente dalla scarsa moralità bianca, ma generalmente sono movimenti marginalizzati dalla generale accettazione dell’identità individuale. Come accennato sopra, i lwa rappresentano il punto di congiunzione tra Bondye ed uomo ed incarnano ciò che l’uomo è; ci sono lwa che hanno gusti e preferenze sessuali marcate, precise e la cui presenza nel quadro indica un orientamento sessuale o di genere più o meno marcato. La prima manifestazione indifferenziata di Bondye nel mondo fu un lwa androgino, ovvero la coppia Damballah – Aida, I quali insegnarono all’uomo la gioia del sesso, ed entrambi proteggono variamente amore ed armonia. Esistono iniziati omosessuali, transessuali e così via: il discrimine vero non è la sessualità o l’identità di genere, ma la strada del singolo e la qualità della persona e delle scelte che compie rispetto all’ambiente in cui è immersa.
Come si rapporta il vudù con i temi lgbt? Quali rapporti innesta il vudù con praticanti lgbt? Esistono persone lgbt come officianti di tale pratica? I temi transgender come vengono affrontati, percependo anche presenze di officianti persone t?
Uno degli elementi fondamentali del vudù è la ricerca della propria identità, in termini ancestrali ed immediati; gli stessi lwa talvolta compiono un processo di trasformazione. Il tema dell’androgino e del gemello è fondamentale nella mistica vudù, così come l’esperienza di ciò che è altro rispetto a sé, in un’ottica di costante equilibrio. Ci sono lwa a cui ci si rivolge perché proteggono espressamente le persone T, per altro. E’ quindi incitata l’esplorazione dell’individuo e della sua identità, anche perché non esiste una divinizzazione preferenziale dell’elemento maschile o femminile, ma si tende al raggiungimento di un perfetto equilibrio tra i vari elementi. È inoltre importante considerare che il messaggio che i lwa esprimono, il fine del vudù, è lo sviluppo delle piene potenzialità dell’uomo, quindi un ostacolo ad officianti T potrebbe essere il riconoscimento della comunità che li circonda, ma non è certo una questione oggettiva.
Il tema delle affettività in senso generale e universale che ruolo ha e come viene affrontato nella religione vudù?
I lwa rappresentano, come detto, archetipi (generali e particolari) rilevanti per l’uomo: l’affettività è un tema centrale, perché è uno dei modi che ha l’uomo di completarsi, di raggiungere la pienezza. Certo, dipende anche dal quadro generale, ma basti pensare che i lwa si sposano, e talvolta hanno più compagni fissi, oltre che svariati amanti; ognuno di loro incarna una sfumatura peculiare dell’esperienza umana: sesso, amore, affettività, pace e guerra e così via, sono elementi divini., che possono essere sublimati e consentire l’elevazione spirituale. Va considerato anche che i lwa possono sposarsi o fidanzarsi anche con gli esseri umani,anche in matrimoni multipli, per ragioni iniziatiche ma anche amorose, ed il compagno umano può generalmente avere una vita sentimentale normalissima (io ho la fortuna di aver assunto questo impegno). Queste figure saranno analizzate durante la conferenza, ma denunciano l’estrema libertà con cui il sesso e l’amore sono vissuti, nelle sue varie sfaccettature, il tutto scevro dal concetto oppressivo di peccato.
Intervista a cura di Alessandro Rizzo