Da tempo si sta discutendo nel movimento Lgbt, nell’associazionismo transessuale e transgender e in alcuni settori socio culturali se occorra depatologizzare la transessualità: da questo è nato un confronto forte e attivo tra psicologi, sociologi, antropologi, filosofi, giuristi, teologi e uomini di scienza nell’ambito di un convegno tenutosi a Torino lo scorso marzo 2012 dal titolo “Chi ha paura della depatologizzazione?”. Christian Ballarin e Roberta Padovano hanno raccolto gli atti ufficiali del convegno, dialogo e analisi della questione, aprendo scenari diversi e nuovi sul tema, in un saggio di saggi dal titolo “Esquimesi in Amazzonia”.
Venerdì 14 novembre, ore 20,00 aperitivo, ore 21,00 inizio dibattito, presso la sede di Viale don Minzoni 129, Sesto San Giovanni (MI), il Circolo Culturale TBGL, Harvey Milk, ospiterà la presentazione del libro, edito da Mimesis, affrontando i vari aspetti con la presenza di Monica Romano, responsabile gruppo identità di genere del Milk, e la moderazione di Alessandro Rizzo, responsabile cultura.
Il libro, come si è detto precedentemente “saggio di saggi”, vuole condurci attraverso un punto di vista che prende in esame la depatologizzazione delle “esistenze trans”, si legge sul sito ufficiale della casa editrice, proiettandoci nei diversi ambiti della vita sociale, culturale, sanitaria, legale e giuridica. Occorre ed è importante eliminare la questione trans dal novero delle forme patologiche e quali saranno le conseguenze per le persone trans e per la collettività, soprattutto dal punto di vista culturale, in caso di una depatologizzazione della transessualità? Perché c’è chi ancora ha paura di questo passaggio? Che cosa può determinarsi nel campo legale, culturale, sociale, civile, istituzionale, culturale, medico sanitario e dei diritti se la depatologizzazione avvenisse e fosse accolta, come accaduto nel 1973 da parte dell’American Psychiatric Association (APA), e nel 1990 dell’Organizzazione Sanitaria Mondiale,
riguardo l’omosessualità?
La depatologizzazione della transessualità garantirebbe non solo una visione complessiva diversa e un approccio differente nell’affrontare le tematiche trans, ma garantirebbe una rivoluzione complessiva dei canoni interpretativi che si sono avvicendati, confermati e rafforzati, grazie a pregiudizi spesso radicati e odiosi, sul modo di intendere il nostro rapporto con l’identità di genere, riempendo schemi soffocanti e, spesso, deleteri, di contrasto tra un genere femminile e un genere maschile, tra un orientamento omosessuale e un orientamento eterosessuale. Il tema che si pone l’opera, quindi, non può non interessare tutti.
Parlare di depatologizzazione ci permette di affrontare le dinamiche, diverse e poliedriche, sulla sessualità, il genere, l’identità di genere tanto da proporci un abbattimento degli stereotipi che alimentano forme di emarginazione e di stigmatizzazione alienanti.
Le diverse culture storiche ci tramandano termini differenti e appellativi con i quali sono state spesso apostrofate le esistenze trans: Hijras in India, le Vergini Giurate nei Balcani, i Due Spiriti nativi americani, i Femminielli napoletani. Molti di questi termini rientrano in tradizioni sociali antiche presenti in diversi luoghi del nostro pianeta, ma molti di essi tendono a semplificare in modo banale e affrettato situazioni umane complesse e complete, tanto da indurci a classificare e a recintare diverse esistenze.
Il confronto non è potuto non essere alimentato dal contributo anche di persone che, come Christian Ballarin, hanno da sempre dedicato passione e risorse intellettuali e civili all’attivismo associazionistico, lui presidente dello SpoT, sportello trans dell’associazione GLBTQ Maurice di Torino, già autore di “Elementi di critica transessuale”, che dal titolo evoca un altro grande saggio scritto da Mario Mieli. Il riferimento a Mario Mieli ci permette di avanzare un utile e importante parallelismo con l’affermazione che egli stesso fece, asserendo che noi tutti siamo transessuali, convalidando, così, il principio della necessità della liberazione della nostra sessualità, della sua piena affermazione e, soprattutto, dell’esistenza di poliedrici e osmotici orientamenti e identità: identità e orientamenti soffocati sul nascere da un’educazione che porta a separare generi e orientamenti “eteroimposti”. Tutto questo viene chiamato da Mario Mieli “educastrazione”.
Roberta Padovano è attivista del movimento LGBT, autrice già di “Dove sorge l’arcobaleno” (Milano, 2002), di differenti contributi e di articoli sulle tematiche Lgbt, affronta il tema attraverso anche la sua professionalità, gestalt counseling e supervisora dei volontari per lo sportello SpoT di Maurice.
Il titolo del libro è sufficiente per introdurci nello spirito dell’opera, partendo dal presupposto, finora purtroppo ancora persistente, che le persone trans siano come persone non previste e non considerate nel tessuto sociale della nostra contemporaneità: sono come “Esquimesi in Amazzonia”, appunto, e da questa definizione si destruttureranno con puntualità pregiudizi alimentati da una sottocultura “binaria” da superare, pena esclusione di ogni possibile autodeterminazione libera dell’essere umano.
Testo a cura di Alessandro Rizzo