Gli occhi di Daniel mi guardano dalla piccola foto nella home page del Corriere. 24 anni, uno in meno di quelli che avevo io nel momento che definisco “quello in cui ho realmente cominciato a vivere“. Lo sguardo é simpatico, la foto sembra proprio una di quelle che potresti trovare in un qualunque sito di online dating. Probabilmente, é la migliore che ha scelto tra il paio di decine che si era scattato per prova. Ogni persona ha la sua storia, ma certi riti si ripetono ad ogni latitudine.
Gli occhi di Daniel mi guardano dalla piccola foto della home page, e avrei istintivamente voglia di abbracciarlo, di dirgli che é tutto passato, che ora non gli possono fare piú niente. Ma non si puó. Daniel é morto. Lo hanno ammazzato.
Gli hanno schiacciato la testa con un masso.
Staccato un orecchio.
Bruciato una gamba.
Gli hanno inciso svastiche sul petto e su una spalla.
L’hanno seviziato per sei ore.
E finito a calci e pugni.
Daniel Zamudio é morto, perché quattro giovani tra i 19 e i 26 anni hanno deciso cosí. Cosa possa portare quattro giovani tra i 19 e i 26 anni a picchiare a morte un coetaneo, strappandogli parti del corpo e incidendovi simboli nazisti con i vetri di una bottiglia non é dato saperlo.
Daniel Zamudio era gay. Si dá per scontato che per questo l’abbiano ucciso.
Si dá per scontato.
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