Se la democrazia esprime nel voto alle urne la sua essenza, si può parimenti sostenere che la libertà trovi il suo momento di massima espressione nella manifestazione del proprio pensiero. E quale può essere la migliore manifestazione del proprio pensiero, se non lo sfilare in piazza per mostrare ai propri concittadini ciò che muove il profondo del nostro animo?
È con questo spirito che intendiamo solidarizzare con i cinquecento eroici partecipanti al Gay Pride di Belgrado. In una nazione come la Serbia, dove la comunità GLBT non ha diritto di esistere, i “soli” quindici minuti di manifestazione e le “sole” cinquecento persone presenti al Pride hanno rappresentato una cristallina conquista di libertà. Di più: i quindici minuti e le cinquecento persone rappresentano non solo un importante passo verso l’emancipazione delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali, ma anche un importante passo verso la democratizzazione della Serbia.
Non deve sfuggire come questo Pride si sia tenuto sotto la lente d’ingrandimento della Comunità Europea. L’adesione della Serbia alla UE è stata formalmente avviata alla fine dello scorso anno, ma la lunga strada che dovrebbe portare all’ulteriore allargamento verso Est dell’Unione passa dalle pesanti riforme di natura economica, politica e sociale alla quale gli stati candidati devono sottoporsi. Queste riforme, previste dagli Accordi di Stabilizzazione e Associazione, pongono un particolare accento proprio sul riconoscimento dei diritti umani. Si capisce quindi perché Vincent Degert, capo delegazione UE in Serbia, non abbia mancato di salutare positivamente la manifestazione di ieri.
La buona riuscita dell’evento si deve anche al massiccio ed efficace dispiegamento di forze di polizia da parte delle autorità. Va certamente reso onore agli oltre cento agenti rimasti feriti, anche gravemente, nel proteggere i manifestanti dai violenti oppositori, aizzati dalla forte contrarietà della opinione pubblica e dalle posizioni ultraconservative della Chiesa Ortodossa. Si tratta di ragazzi spesso giovanissimi, che hanno adempiuto al loro dovere al di là di ogni calcolo politico, rendendo possibile questo importante esercizio di democrazia e libertà. Come non va dimenticato l’essenziale ruolo che la UE ha avuto in questa vicenda, non va nemmeno ignorato che la riuscita della manifestazione è dovuta anche alla necessità del governo serbo di mostrare la faccia di un paese democratico e plurale, al fine di ottenere proprio l’adesione alla UE e gli ingenti finanziamenti comunitari che ne conseguono.
Unire i puntini, e considerare questo pride realizzabile grazie alla possibilità per lo Stato serbo di ottenere fondi comunitari è piuttosto semplice: non farlo sarebbe chiudere gli occhi davanti alla realtà. Purtroppo, e notoriamente, nessuno ci regalerà nulla, nemmeno se siamo nel giusto. Il passo compiuto ieri in Serbia è il primo di una lotta che si annuncia difficilissima, una lotta di posizione, che richiederà spesso repentini cambi di direzione per non venire travolti dal vortice del’omofobia. Una lotta che probabilmente richiederà di sacrificare un po’ di idealismo alle ragioni della politica. È palesemente inaccettabile l’idea che si possa scambiare la concessione di diritti umani con la concessione di finanziamenti, ma se questo può servire a portare la speranza dove non c’era, la nostra coscienza ci perdonerà se chiuderemo un occhio.
A voi, fratelli serbi, riuscire a sfruttare questo spiraglio per parlare ai cuori dei vostri concittadini. A noi, fratelli occidentali, non dimenticare mai che le lotte di ieri sono la libertà di oggi, e che la piena libertà di noi tutti non può che passare da un riconoscimento universale dei diritti delle persone GLBT.
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