Voglio raccontarvi una storia. E’ una storia che non parla di principesse, né di draghi o streghe: non la troverete in nessun libro di Fiabe, perché è “vera”. E’ la storia di Antonia, che tutti noi conosciamo come l’autrice del “Transizionario“, che potete trovare regolarmente sulle pagine di questo blog.
Il mio racconto inizia a Bisceglie, nella lontana Puglia, dove viveva un, allora, bambino, di nome Antonio. Per una piccola comunità, come poteva essere quella di Bisceglie all’epoca, Antonio era un bambino “strano”, non giocava a pallone, ma pettinava le bambole, non faceva a botte con gli altri bambini, ma piangeva facilmente. Agli occhi della mamma niente era “sospetto”, finché un cugino fece notare l’eccessiva femminilità del piccolo.
Da quel momento iniziò un lungo pellegrinare per ospedali e manicomi, dove psicologi, dottori e psichiatri visitarono Antonio più e più volte, finché al bambino non venne diagnosticato un disturbo guaribile con un’operazione chirurgica al cervello (lobotomia e/o lavaggio del cervello).
C’era, però, un piccolo effetto collaterale, il bambino avrebbe potuto perdere tutto il bagaglio di ricordi, conoscenze, nozioni e dover ricominciare da capo una nuova vita.Il rischio era troppo grande, alla madre non tenne il cuore e decise di portar via il figlioletto, nella speranza che il tempo fosse un guaritore migliore e anche indolore.
In realtà ciò non accadde, anzi, più passava il tempo e più Antonio sentiva il bisogno impellente di trovare il suo “gruppo di appartenenza”, qualcosa in cui riconoscersi.
Finalmente, un giorno, Antonio trovò quel “nido” che aveva tanto cercato, si trattava di un piccolo gruppo di omosessuali, che si ritrovava quotidianamente in una piazzetta del suo paese.
Da quel momento, il nostro piccolo protagonista crebbe molto velocemente, acquisendo anche una maturità fuori dalla norma per i suoi coetanei. Eppure qualcosa mancava lo stesso.
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