In occasione della cena del 31 di Gennaio, in una sera vicina alla commemorazione delle vittime delle persecuzioni naziste dell’Olocausto, anche il Milk ha voluto raccogliersi per ricordare i propri morti, vittime di una pagina meno conosciuta di una tragedia che siamo tutti tenuti a ricordare.
Durante la serata, ho voluto presentare una piccola ricerca che potesse adeguatamente accompagnare il nostro ricordo con qualche dato che è bene non scordare, soprattutto per non ripetere oggi gli errori di un passato che si tende sempre più a dimenticare.
In questi ultimi anni, la premura e l’attenzione delle comunità ebraiche e il grande scandalo che hanno suscitato in questi anni le diverse raccolte di testimonianze, documentari e film dedicati all’orrore del genocidio antisemita compiuto dal Terzo Reich hanno diffuso nell’opinione pubblica l’idea che le persecuzioni del regime nazista fossero state dirette solo contro i cittadini tedeschi di origine ebraica e i molti che erano immigrati da paesi mitteleuropei confinanti o che sono stati rastrellati dai territori conquistati dalle armate di Hitler nella loro conquista dell’Europa.
Viene così coperto sotto un sottile velo di silenzio che il progetto di morte nazista, nella folle ricerca di fare della Germania un insieme omogeneo per caratteri fisici e cultura, da poter plasmare a uso e consumo della propria ideologia e dei propri piani di dominio, consistette in una caccia a tutte diversità che potesse compromettere l’uniformità del popolo tedesco, nelle quali rientrava ogni categoria di persone non corrispondenti alla figura del sano cittadino nazionalsocialista: dagli oppositori politici, alle minoranze Rom e Sinti, ai disabili, ai seguaci di religioni non allineate all’ideologia di Hitler e Goebbels, come i testimoni di Geova o, per un tempo più ristretto, come molti sacerdoti cattolici che, diversamente dai protestanti appartenenti alla Deutsche Kirche, non vollero anteporre l’obbedienza al Führer tedesco a quella del Papa di Roma.
Tra queste minoranze non mancarono neppure le persone LGBT, che nella vecchia Repubblica di Weimar animavano la vita di una società tra le culturalmente più avanzate d’Europa, e che quindi costituivano, per la dirigenza di morale conservatrice del partito nazista, uno dei bersagli contro i quali scagliare le masse impoverite dalla crisi economica.
Negli anni precedenti alla dittatura, le iniziative di questo mondo vivace e variopinto furono molteplici; vorrei ricordare la Berlino grande capitale della Germania rifondata dopo la Grande Guerra, famosa per i numerosi locali gay, tra bistrot, palchi di cabaret, e luoghi di incontro in cui il travestitismo era praticato sia da persone omosessuali che da eterosessuali, in una comune voglia di trasgredire e superare un costume sociale ancora più rigido di quello attuale. La vita politica era animata di liberazione omosessuale come il Wissenschaftlich-humanitäres Komitee di Magnus Hirschfeld e un movimento lesbico che gravitava attorno a locali come il „Dorian Grey“, „il Monbijou des Westens“ e il „Zauber Flote“. La storiografia attuale testimonia come persino membri del partito nazionalsocialista vivessero la propria omosessualità in maniera relativamente aperta, nonostante militassero per una forza politica che condannava i rapporti tra persone dello stesso sesso in quanto espressioni egoistiche di sentimenti non prolifici per la nazione. E’ celebre il caso delle Squadre di Assalto hitleriane, che fino al 1925 e oltre vissero con una certa libertà i loro rapporti sentimentali, espressi in forma di atteggiamenti iper-virili che andavano oltre il cameratismo a cui i maschi tedeschi erano consueti, e del loro capo Ernst Röhm, membro della più grande organizzazione tedesca gay, la Lega dei Diritti Umani. E’ forse per questo motivo che l’inizio delle persecuzioni e le campagne d’odio contro le persone LGBT , che avevano avuto un esordio già nel 1933, anno della salita al potere di Hitler in veste di Cancelliere, con l’entrata in vigore del Paragrafo 175, che aveva bandito l’omosessualità come comportamento e con le prime incarcerazioni di quelli che diventeranno diecimila prigionieri, coincise con l’anno della Notte dei Lunghi Coltelli, quando vennero eliminati tutti i capi delle SA.
Nel 1934 venne compilata una lista di tutte le persone omosessuali e transessuali presenti entro i confini del Reich e nel 1936 venne istituito L’Ufficio Centrale del Reich dedicato alla lotta ad omosessualità ed aborto, sotto la responsabilità al capo stesso delle SS, Heinrich Himmler.
Le persone di diverso orientamento sessuale venivano considerate in base alla supposta intensità e alla costanza con cui tale orientamento veniva praticato. Il fatto che il travestitismo venisse inserito in una categoria, ritenuta più grave, di omosessualità “abituale“, lascia supporre che nel tetro bottino della caccia all’uomo programmata dal regime nazista fossero cadute, riconosciute “colpevoli“ di travestitismo, molte persone transessuali, includendo tra le vittime marchiate con il triangolo rosa un insieme molto più ampio rispetto alla sola omosessualità.
Il trattamento riservato alle persone omosessuali prevedeva inizialmente una terapia psicologica, in cui si tentava di curare le persone omosessuali dalla loro natura, a cui veniva aggiunto un tentativo di castrazione volontaria. I casi ritenuti più gravi vennero invece sottoposti al carcere duro quando non vennero deportati nei campi di concentramento; molti di essi, dato che l’ideologia nazista considerava l’omosessualità una patologia biologica che colpiva la razza tedesca, vennero usati come cavie in esperimenti pseudoscientifici. Tra i più crudeli vi furono quelli somministrati dal Mengele di Buchenwald, il medico ufficiale delle SS Karl Värnet che effettuò uno studio su di un preparato a base di ormoni di sua invenzione sugli internati omosessuali; circa l’80% degli internati sottoposti non sopravvisse.
Dei 60:000 omosessuali e transessuali tedeschi catturati dal regime nazista tra il 1933 e il 1945, 10.000 vennero internati nei campi di concentramento; di questi, settemila non lasciarono i loro luoghi di prigionia. Il loro numero non è comparabile con quello dei sei milioni di vittime ebree, che venivano anche cacciati nei territori che venivano occupati con il tempo dall’esercito tedesco, ma il trattamento che venne riservato loro dagli aguzzini che trovarono sul luogo fu della stessa durezza. Di conseguenza, tra gli omosessuali la percentuale dei deceduti supera del doppio quella dei prigionieri imputati di essere criminali politici o dei testimoni di Geova, e furono particolarmente numerosi i casi di crollo psicologico e di suicidio.
Il degradante marchio di infamia posto sugli internati nei campi di concentramento può trovare un esempio già nel codice con cui essi venivano identificati, prima dell’uso del famigerato triangolo rosa: il numero 176 e una grossa A che stava per la parola “Arschficker” (letteralmente “ficcainculo”).
Nonostante i casi di lesbismo non vennero perseguiti dalla legge nazista, giacchè gli articoli in merito prevedevano di condannare solamente i casi di omosessualità maschile, le donne che continuavano a mantenere la condotta di differente orientamento sessuale, non conformandosi
ai costumi sociali che prevedevano per loro il ruolo di spose e di madri del popolo, vennero viste come un pericolo ai valori dello stato e spesso anch’esse internate come “asociali” con un triangolo nero cucito sulle loro giubbe. La qualità di lesbica era considerata spesso un’aggravante rispetto appunto all’asocialità o ad altre imputazioni (ovvero all’essere ebree, ladre, prostitute, etc.). Gli studiosi riportano casi di lesbiche nei campi di concentramento di Dachau, Flossenbürg, Hohenstein, Moringen. Presso il campo di Flossenburg era attivo un bordello, nel quale le lesbiche erano particolarmente ricercate ed esposte al sadismo ed alle perversioni dei gerarchi.
Con la liberazione dei campi da parte degli Alleati paradossalmente i triangoli rosa non riacquistarono la libertà. Americani ed Inglesi non considerarono gli omosessuali alla stessa stregua degli altri internati ma criminali comuni. In più non considerarono gli anni passati in campo di concentramento equivalenti agli anni di carcere. Ci fu così chi, condannato a otto anni di prigione, aveva trascorso cinque anni di carcere e tre di campo e per questo venne trasferito in prigione per scontare altri tre anni di carcere.
I casi di discriminazione contro le persone omosessuali comprendono anche la triste particolarità di essere gli unici ad essere gravati, oltre che dall’odio ideologico dell’ideologia nazista, anche dallo scandalo condiviso per la sfida ai tabù sociali che ancora oggi sono sentiti vivamente nelle nostre società. Ed è per questo motivo che le minoranze LGBT furono perseguite anche nella Germania occupata dalle truppe alleate, in cui comunque le chiese cristiane locali continuarono ad avere una grossa influenza, tanto che alcune leggi omofobe in alcuni ordinamenti politici occidentali continuarono ad essere adottare fino agli Anni Sessanta e Settanta, prolungando ulteriormente la sofferenza dei cittadini di diverso orientamento sessuale anche nelle restaurate democrazie europee.
Se consideriamo anche la tardività con cui le vittime omosessuali del nazismo sono state ricordate dai nostri popoli in Occidente, la peculiarità di questa particolare pagina tetra di storia rimane l’unica che fa riflettere sempre di più per la sua aderenza con la vita di questi giorni.
A differenza dei casi di antisemitismo e di omofobia, se volgiamo lo sguardo verso i vari casi di rigurgiti populisti che vedono i loro campioni nei partiti dominanti del regime russo o nei fanatismi seminatori di odio interni alle grandi religioni organizzate, sapremo riconoscere chi continua a svolgere il filo rosso insanguinato che dai massacri dell’olocausto arriva ai nostri giorni. Difendere le minoranze LGBT rimane quindi una delle questioni più urgenti che le nostre democrazie devono affrontare, per proporsi definitivamente come quei modelli alternativi di progresso e di dignità contro le tentazioni autoritarie, oggi come in futuro, di evocare mostri che dovrebbero essere sepolti per sempre tra le pagine peggiori della nostra storia.
di J.E.Milani