Il percorso artistico dell’autore canadese Steve Walker avrebbe avuto certamente altro corso vedendo magari nascere un nuovo attore famoso sulla ribalta del palcoscenico internazionale piuttosto che un pittore raffinato nel solco della tradizione del realismo americano. È l’occasione per considerare ottima la scelta, con il “senno di poi”, fatta da Steve a un certo punto della sua esistenza di rivolgere la propria attenzione ad un’altra disciplina, dopo aver frequentato a Toronto, città dove si trasferisce, gli studi di recitazione, e di iniziare, così, a dedicarsi completamente all’arte pittorica, giustificando tutto questo con la necessità di esprimere in modo più efficace e utile messaggi esistenziali di ricerca e di attenta analisi delle condizioni precarie di solitudini viventi e incomunicanti.
Dire che Walker si inserisce nella “tradizione del realismo” potrebbe risultare alquanto ossimorico, dato che questa “scuola”, che ha influenzato gran parte della produzione artistica americana di fine Ottocento e di quasi tutto il Novecento, ha subito immancabili evoluzioni che si sono, poi ,presentate in modo sintetico nelle poetiche degli artisti singoli, affacciatisi, come lo stesso autore, a questo filone.
“Sono sempre stato incline a lasciare che il mio lavoro parlasse da sé”: con queste parole l’autore canadese, di origini rurali, nato a Ottawa da una famiglia di militari, esprime l’essenzialità quasi minimale delle sue rappresentazioni, scevre da inutili e aggravanti orpelli iconografici, così come nitide nella loro composizione geometrica raffinata e sorrette da uno studio per i particolari fisici e anatomici dei soggetti ripresi nella loro disarmante quanto attraente quotidianità. La “cuorisità” di conoscere e interpretare gli artisti suoi contemporanei o precedenti, spaziando dalla letteratura alle arti figurative, dalla musica alla fotografia, ha indotto Walker a realizzare una propria filosofia artistica autonoma e indipendente.
Possiamo, quindi, notare convivere in Walker tutte le componenti che hanno influenzato il realismo, dalla sua origine alla sua modernità, in una sintonia ideale determinandone quel suo incommensurabile fascino eclettico vissuto nell’osservare in terza persona una realtà che lui stesso vive e ha vissuto. Lo stile e i soggetti sono consueti e vengono contaminati da una visione non meramente locale, seppure gran parte delle sue opere si ambientino nelle dorate e soleggiate spiagge o nelle vallate immense e suggestive delle zone vicino al Pacifico, riprese nella staticità fissa e inamovibile degli oggetti presenti, ma molto simbolica, a volte astrattamente metafisica, di certo induttrice a una riflessione e a una ricerca umana senza fine. Le sue opere sembrano fotografie con una dinamicità plastica che definisce uno spazio incantevole e quasi tridimensionale immergendo l’occhio dello spettatore in un ambiente verosimilmente reale. Courbet asseriva circa il realismo pittorico che “un oggetto astratto, invisibile, non esiste” essendo qualcosa di “estraneo all’ambiente della pittura”. I ragazzi che troneggiano in primo piano, tanto da fare concettualisticamente, molta influenza della serialità può essere vista in questo aspetto, passare in secondo piano il contesto anch’esso reale in cui si trovano e sono inseriti, rapiscono la nostra attenzione non solo per la loro possenza fresca e statuaria, elemento, questo, puramente estetico, ma anche per la loro capacità di esprimere una tensione espressiva di una solitudine esistenziale che cerca un appiglio umano a cui rivolgersi, desiderosi di complicità e di condivisione di proprie esperienze.
Walker è un artista omosessuale, dichiaratosi fin dai tempi della propria gioventù in un quadro rurale e agreste spesso ostile a ogni tipo di “diversità” comportamentale: lui ha vissuto le sofferenze dovute all’innocenza di passioni irrefrenabili e che chiedono semplicemente di essere vissute nella loro pienezza e completezza fisica e mentale, intellettuale e carnale. Il messaggio subliminale che ne deriva, e solo attraverso la pittura l’autore canadese è riuscito a esprimerlo, è quello di una denuncia sociale, anche culturale, di riscatto di una spontaneità e di un’autenticità del vivere l’affetto omoerotico nella sua interezza e disinvoltura: nei visi rilassati, estasiati, a volte anche attenti, sognanti, altre volte preoccupati, assorti e pensanti, altre ancora compiaciuti e complici dei giovani soggetti delle sue opere, dal fisico aitante e armoniosamente sinuosi e statuari, nel cui segno pittorico prevale la cura per ogni particolare, nelle linee flessuose e virili dei corpi, nelle dimensioni mastodontiche e solide delle fasce muscolari, mai esagerate e proposte con un tocco delicato del pennello, si legge la voce di un’intera comunità, quella omosessuale, che richiede una visibilità e una vita da vivere profondamente e in modo completo. “The reader”, infatti, propone un ragazzo a gambe conserte che legge concentrato un libro, seduto su un muretto di una località marittima, appoggiato a un braccio che sfoggia la potenza della sua struttura, le cui spalle si evidenziano per la loro bellezza ed energia folgorante. La luminosità e il gioco accurato tra luce e ombra che si diffondono con determinazione e gradualmente sulle ondulazioni equilibrate dei fisici scultorei e ginnici ci conduce a rilevare nel trionfo dei soggetti il lato umano recondito, a volte spiegato ed evidenziato dall’autore, altre volte lasciato liberamente all’interpretazione dello spettatore.
Il realismo si evolve, quindi, nell’artista canadese in una poetica che ci suggerisce una visione autonoma della percezione del soggetto ritratto in modo sovradimensionato e centrale nella tela, mentre i colori ci portano a tuffarci in una dimensione iperrealista attraverso una tecnica estetica che ci conduce a guardare oltre ai confini reali, quasi come se il contesto venisse solo accennato, semplice scenografia di un viaggio nell’infinito. Il conflitto, dunque, tra un realismo che vuole circoscrivere temporalmente e spazialmente la scena illustrata e un simbolismo concettualista che vuole, invece, approfondire il significato recondito che si cela nell’anatomia dei corpi, imponenti e scultorei, invitandoci a celebrare la fisicità maschile nella sua completezza, crea una complessità lirica figurativa senza precedenti, prova, questa, di vera autonomia di un autore maturo. In alcune opere leggiamo, tornando a quella volontà spesso sottesa di Walker di volerci accompagnare, in modo di certo non soffocante né tanto meno propedeutico, nella comprensione dell’opera, una dimensione quasi onirica in uno stadio e, anche, stato d’animo e psicologico di astrazione dal reale, soprattutto quando leggiamo e percepiamo l’espressione rilassata e disincantata di uno stanco ragazzo dai pettorali ben definiti e scolpiti, adagiato nel suo letto, dormiente, con una posa che ci porta a gustare della sua corporeità tonica e sensuale. Tutto questo risulta essere squisitamente suggestivo e spettacolare da rendere, a volte, palpabile anche i lati più prosaici ed erotici di situazioni implicanti, per esempio, ragazzi che hanno finito di esprimere la propria passione, come accade nel dipinto “Viene o va”, in cui si vede un giovane seduto al bordo di un letto, dove è coricato il suo compagno, rivestirsi, atteggiamento quasi immobile, momento artistico carpito da un’azione comune, ma densa di intimità, di carnalità appena gustata e di tenerezza.
La stanchezza dovuta al completamento dell’atto sessuale accompagnata dal volto del giovane soddisfatto e rilassato, nonché la schiena visibile del compagno totalmente caduta nel riposo, ma sempre in preda a una turbamento lussurioso, ci porta a considerare in Walker la forte passione per una ricerca visiva del reale. L’equilibrio compositivo, la staticità delle forme, la dirompenza di una fissità dei corpi ci dettano quella necessità di reperire un ordine e una continuità costante nella dimensione esistenziale e vitale da parte dei protagonisti, che Walker vuole rappresentare attraverso la sua produzione.
I ragazzi ripresi sono giovani comuni, che amano lo sport, amano divertirsi, amano esprimersi liberamente, amano trascorrere soleggiati pomeriggi al mare, amano andare per musei, ma vengono posti al centro della tela in un’ambientazione scontata in quanto omologata, quasi a voler significare il contrasto tra la tensione per la vitalità e l’emancipazione totale dell’essere umano e il contesto puritano e soffocante della società perbenista e prevedibile di un’America a lui contemporanea. Lo stile narrativo di Walker è di certo brioso e immediato come lo sono i soggetti dei suoi quadri che vogliono incidere tramite l’impatto visivo nella coscienza dello spettatore, quasi disarmandolo difronte alle contraddizioni impercettibili del consueto e dell’ordinario. Questa poetica riesce liricamente a rappresentare la bontà intensa delle opere e dei protagonisti senza dover appellarsi ad altri orpelli o abbellimenti stilistici, che potrebbero apparire ripetitivi e stucchevoli nella loro portata. Il soggetto viene, quindi, esaltato nella sua interezza, esteriore e interiore, e la sua incontenibile e irruente monumentalità plastica ci porta verso visioni non conformate. I colori, le pennellate, tante, che si ripetono in modo anche ripetitivo, le ombre, le luci e la linearità degli elementi posti all’interno della tela, rendendo l’opera tangibile e cristallina in una struttura rigorosa che si propone in un quadro prospettico sopraffino. Il corpo maschile certamente porta a far percepire la sensibilità e l’emozione che può propugnare un’opera di Walker: tutto questo è dovuto essenzialmente al precisionismo non appesantito delle sue rappresentazioni di corpi erculei che sanno collocare una sintesi perfetta, che si esplica nella concordanza degli elementi della struttura materiale del ragazzo, tra una sensazione di doloroso isolamento, vissuto anche inconsapevolmente nella vita alienante attuale, e una visione ideale di stupefacente e profonda esigenza di emancipazione.
Si nota fortemente il senso di immensità e allo stesso tempo di vuoto che arreca il panorama del contesto in cui il soggetto, o i soggetti, se diversi si comprendono nella loro palese incapacità di comunicare, pur evidentemente bramosi di contatto, si inseriscono: tutto questo denota una visione quasi metafisica dell’ambiente per meglio condurre lo sguardo dello spettatore verso scenari impercettibili ma che si dipanano dalla centralità dell’essere umano, invitandoci a formulare delle domande e a trovare delle risposte, che sono spesso soggette a essere ripensate in quanto derivanti da azioni e da sentimenti reali, che si vivono pertanto come finiti e caduchi. L’abilità artistica di Walker e la sua destrezza operata con spontaneità nel realizzare le tele ci conducono a considerare la sua produzione volgere lo sguardo oltre il realismo, in un’accezione iperrealistica.
I temi ricorrenti nelle tele sono quelli elencati dallo stesso Walker, in modo di certo non didattico e didascalico: “l’amore, l’attrazione, la speranza, la disperazione, la solitudine, la bellezza del cielo, la perfezione di un orizzonte, il potere di una persona che tocca un altro”. E sono di questi temi di cui l’autore si ciba nella produzione delle sue opere in quanto parlano di quella esistenza, incerta e precaria, vulnerabile e instabile, che lui stesso ha vissuto e vive nella sua singolarità. Ed è forse proprio per questo che respiriamo una percezione di naturalezza, franchezza, lealtà e candore autentico nelle opere da lui proposte, in quanto lui stesso afferma: “perché dovrei creare dipinti il cui contesto è altro che la verità della mia vita vissuta come omosessuale?”. In “It’s silence” possiamo, così, trovare il manifesto poetico di Walker, ossia l’arte vista come la volontà di dare “voce” alla propria vita e a quella degli altri al fine di rivendicare a gran titolo la dignità di tutti.