Gianfranco Meneo è l’autore di “Transgender. Le sessualità disobbedienti”. Un saggio che parla della storia di Luana e Marco. Luana suona a Roma e convive con la sua compagna. Marco è sposato e suona nell’Orchestra della Diocesi di Lecce. Marco e Luana non sono due persone, ma la stessa. Un’occasione per parla di transessualità, di identità di genere, in un ambito, soprattutto quello italiano, in cui ancora prevale il modello stereotipato eterossessista. Mario Mieli affermava che la fase trasnessuale è in tutti noi alla nascita: la parte femminile e la parte maschile. Ne abbiamo parlato con l’autore, Gianfranco.
Pensiamo al titolo del tuo saggio: “Transgender. Le sessualità disobbedienti”. Che significato assume questa frase e soprattutto disobbedienti da cosa e rispetto a cosa?
Il titolo “le sessualità disobbedienti” è in realtà il vero titolo del libro. Esprime il senso di quelle istanze, di quelle forme, dei desideri che s’infrangono oltre la concezione eterosessista ed eterodominante. Transgender indica il punto di partenza che è l’intervista che orienta il testo ma anche indica il mutamento che attraversa il medesimo lavoro ma soprattutto colui che lo ha redatto, pensato e vissuto, a tratti consumato.
Sei gay, sei di Foggia, sei in un contesto che definisci ancora soggetto a discriminazioni e intolleranze: perchè hai deciso di scrivere un libro che parta dalla condizione transgender e non direttamente dalla tua, che hai vissuto più direttamente?
Il libro non affronta solo la questione transgender ma il più ampio spettro delle rivendicazioni gay, lesbiche e trans… il libro è un viaggio e nelle sue tappe tocca il mio mutamento da spettatore a protagonista attivo, da critico di uno stato di fatti a protagonista della decostruzione di un luogo omofobo, dove vivo, in luogo dove puoi credere di poter esistere seppur tra mille difficoltà… è la forza del transito del mutamento della paura in voglia di fare e realizzare. Ho scoperto che anche la mia città è meno ostile (in realtà è sempre uguale, sono io che con orgoglio manifesto il mio essere) di quello che sembra. Attenzione il senso di soffocamento è enorme ma quella cappa non ti schiaccia più perché speri di poterla dissolvere. Utopia, forse… speranza sicuramente… realtà lo dirà il tempo.
Che cosa ha apportato l’inchiesta che hai condotto sulle “sessualità disobbedienti”? Ossia che cosa è questo mondo e in che cosa consiste?
Oggi, mi guardo attorno e vedo un anno particolare, difficile, complicato… vedo e annuso la presenza di una sovraesposizione di una parte del mondo trans che non vuole apparire per quello che è ma divenire il veicolo di ciò che l’orribile carrozzone mediatico ci vuole indurre a credere… corpi ostentati, abbondanti, privi di riscontro con storie banali dove il dolore non emerge perché non conviene al conduttore televisivo o giornalista che usa quei corpi come mezzi di attacco e di offensiva per colpire l’avversario di turno o il politico che in quel momento deve essere distrutto… mi piace, invece, pensare alle attività di Marcella Di Folco, al MIT e a tanti esponenti del mondo trans che rendono l’idea dell’umanità che li circonda. Non sempre è così perché le storie pulite e produttive non contribuiscono a mantenere attaccati alla sedia spettatori viziosi ed anche un po’ guardoni.
Esiste un movimento transgender?
Oggi, mi guardo attorno e vedo un anno particolare, difficile, complicato… vedo e annuso la presenza di una sovraesposizione di una parte del mondo trans che non vuole apparire per quello che è ma divenire il veicolo di ciò che l’orribile carrozzone mediatico ci vuole indurre a credere… corpi ostentati, abbondanti, privi di riscontro con storie banali dove il dolore non emerge perché non conviene al conduttore televisivo o giornalista che usa quei corpi come mezzi di attacco e di offensiva per colpire l’avversario di turno o il politico che in quel momento deve essere distrutto… mi piace, invece, pensare alle attività di Marcella Di Folco, al MIT e a tanti esponenti del mondo trans che rendono l’idea dell’umanità che li circonda. Non sempre è così perché le storie pulite e produttive non contribuiscono a mantenere attaccati alla sedia spettatori viziosi ed anche un po’ guardoni.
Si parte dal presupposto che esista una visione eterosessista della società, che si basa sul concetto che l’eterosessualità sia condizione naturale. Come può questo concetto condizionare i rapporti sociali e culturali?
Da sempre, anche grazie all’influenza della presenza della Chiesa Cattolica, si è voluto scambiare la fase della procreazione con quella standardizzata per la vita di società. Tutta la nostra esistenza si basa su un mondo esclusivamente declinato al rapporto uomo-donna. Non ci sono varianti o situazioni alternative. In pratica possono essere tollerate altre forme ma la visione eterosessista guarderà sempre con forme di predominio il proprio territorio. Non dimentichiamo che tutte le forme di parentela, affinità sono strutturate sulla forma del rapporto uomo-donna. Una convenzione, allora, è divenuta una imposizione naturale imponendo u tipo di convivenza anche dopo l’atto di riproduzione. Bisognerebbe ampliare la scelta offerta alla comunità lgbt di manifestare sé stessi e per farlo bisogna scardinare tutte le convenzioni di cui sono pieni i testi normativi. Questa nebulosa, invece, serve proprio a consolidare che la società si fonda su uomo e donna che vivono insieme, procreano e costruiscono una società fondata a loro immagine. In un quadro del genere diventare discriminati non è un’operazione complessa.
Come è possibile arrivare a considerare finalmente che “l’eterosessualità non è normale, è solo comune”, come diceva Derek Jarman? Come poter cambiare il presupposto della predominanza eterosessuale, che crea esclusioni e discriminazioni?
Sarebbe opportuno rifondare le basi dell’educazione. Se insegnassimo ad amare senza dare forma convenzionale forse si potrebbe costruire una società diversa. Se cogliessimo l’aspetto della convivenza fin da piccoli comprenderemmo dell’inutilità di ogni forma di imposizione che vuole due sessi diversi come modelli dominanti. Questo non avviene ed anzi, spesso, tra le aule di scuola molti docenti sostengono, giocando sul loro ruolo pedagogico, di considerare anormali certe vicende personali, anzi alcuni vanno oltre definendole “malattie”. E lo fanno, quasi sempre, ignorando il danno che provocano da educatori nel demonizzare quella che è una condizione naturale mentre come dei televenditori di pentole consumano si scagliano contro tutto ciò che non comprendono come una missione di guerra.
Parli nella presentazione del saggio di tappa di un percorso che porti al ripensamento laico dell’agire politico del nostro Paese, soprattutto difronte a un giornalismo che infanga e che risponde alle logiche di dominio mediatico: che cosa intendi?
Il giornalismo utilizza la sessualità delle persone come merce da usare in cambio di risultati più o meno appetibili. Si attacca il personaggio pubblico ridicolizzandolo per le sue scelte, denudandolo, colpendolo col cilicio religioso per poi finirlo con la condanna della mancanza del senso familiare. Lo si fa soprattutto per le frequentazioni col mondo trans. Nel caso del mondo gay si utilizzano doppi sensi, battute lascive e steccate pederaste. La lesbica, invece, viene solitamente ignorata. Il divertimento maggiore sta nell’angosciante perdita della vitalità figlia dell’inquieta descrizione del “Bellantonio” di Vitaliano Brancati. Come sarebbe più semplice se non fossimo all’ombra del potere vaticano, se fossimo liberi di non vedere consacrata nella benedizione di Dio un semplice atto sessuale che può avere mille varianti e non per questo essere meno bello o profondo. I corpi sono liberi quando si amano spontaneamente.
Esiste una possibilità di riscatto sociale e culturale di un “movimento politico/culturale che propone una visione dei sessi e dei generi fluida”, partendo anche dalla storia narrata di Marco e Luana, stessa persona che vuole vivere con dignità la sua identità di genere?
Il riscatto politico/culturale può avvenire solo superando la visione del corpo normato al maschile o al femminile, per creare un diritto fluido che attribuisca diritti e doveri sulla base dell’esistenza senza legarli all’appartenenza di un sesso piuttosto che un altro. Non è semplice ma sicuramente fattibile. La perdita dei genitali che contraddistingue la carta d’identità potrebbe rendere i diritti calabili su realtà neutre che non devono essere più scisse in categorie.
A chi ti sei rivolto maggiormente nello scrivere il libro ed esiste un target prevalente di lettori?
Mi sono rivolto essenzialmente a tutti coloro che soffrono, alle persone che non riescono a dire nemmeno a se stessi ciò che provano. Ho pensato a chi non è disobbediente e si conforma alla norma che lo piega pur non condividendola, ho pensato a chi è privo di luce perché non può permettersi di attirare sguardi su se stesso. Ecco ho pensato a chi è anonimo, non per scelta ma per paura di prendere un’identità che teme. Il target di lettori nella prime parti è molto variegato la seconda parte è più tecnica, va letta respirando l’aria innovatrice portata dagli ospiti che hanno raccontato.