Rimbaud ha molto influenzato nel senso più universale possibile una delle maggiori espressioni artistiche del nostro tempo: Yaroslav Mogutin. Afferma il trentenne autore russo, uno dei primi a dichiararsi apertamente omosessuale in un’intervista: “come Rimbaud credo che la moralità sia un tipo di malattia del cervello!’”. Vediamo e ammiriamo le sue produzioni fotografiche, a cui l’occhio di Mogutin si è rivolto negli ultimi anni spaziando dall’utilizzo della penna nella realizzazione di coinvolgenti e profonde poesie verso una “pratica creativa” che andasse “al di là del testo, quindi oltre la fotografia e una immagine bidimensionale”.
Nelle opere di Slava si gustano giovani adolescenti scapestrati, ai confini di una società spesso ostile, piena di pregiudizi e di convenzioni soffocanti, cercando di creare situazioni in cui il concetto di “vergogna” viene superato con pratiche “senza vergogna”: persone reali, emozioni pulsanti, sensazioni vive vengono riprese dall’occhio voyerista ed esibizionista dell’autore basandosi sulla piena fiducia e complicità con i soggetti immortalati che nella loro naturale e disarmante, in quanto semplice, bellezza viene ritrovata “la loro vera essenza”. Si assaporano, così, nelle opere figurative di Mogutin una dirompente estetica del primordiale, del bestiale e di quella innocenza senza filtri, quasi sfacciata e sfrontata, certamente provocatoria presente in esplicite scene definibili come “oscene”, “scioccanti”, “perverse” e perturbanti il pensiero unico moralista. Lui stesso si definisce un fotografo alla “ricerca di un nuovo linguaggio e sensibilità”.
Ed è di quello di cui Mogutin ha sempre avuto bisogno di trovare e inventare nella sua eclettica produzione artistica e letteraria, in una visione avversa e demolitrice di stereotipi e maschere costrittive. Jaroslav Mogutin nasce a Kemerovo, fredda città industriale della Siberia, e si trasferisce a Mosca a soli 14 anni. Incomincia giovanissimo a collaborare con riviste letterarie del tipo “Argumenty i fakty”, “Stolitza”, “Novoe vremja”, “Nezavisimaja gazeta”, “OM”, “Ptjuch”. Lavora anche con la casa editrice moscovita Glagol tanto da tradurre in russo opere del calibro di Pasto nudo e de La stanza di Giovanni. Da subito per il carattere delle sue composizioni letterarie, esplicitamente erotiche e dense di vita omosessuale e di sinceri amori omoerotici, Mogutin viene perseguitato e minacciato dalle autorità moscovite e da diverse persone. Viene definito, pertanto, reo di aver commesso “propaganda della pornografia, descrizione di perversioni patologiche” e viene anche accusato dalla magistratura di “teppismo internazionale con cinismo eccezionale e particolare insolenza”. Nonostante le pressioni che venivano costantemente esercitate sulla sua figura per la sua emancipazione sessuale e per i comportamenti disinvolti di vivere liberamente la propria omosessualità, Mogutin non cede e decide addirittura il 12 aprile 1994 di andare all’anagrafe moscovita per dichiarare la propria unione e convivenza con il pittore americano Robert Filippini: azione è questa che costerà all’autore gravi conseguenze per lo scandalo apportato, tanto da dover, dopo avere ricevuto minacce e ricatti telefonici e incursioni improvvise e impreviste da parte della pubblica sicurezza, decidere di espatriare e recarsi a New York, su invito dell’Università Columbus. Otterrà dapprima lo status di rifugiato politico, grazie agli inviti e alle mobilitazioni promosse da organizzazioni internazionali per i diritti civili e umani, tra cui Amnesty International. Dopo 16 anni, a residenza ottenuta, Mogutin nel 2011 riceve la cittadinanza statunitense. Ha lavorato come interprete all’ONU, venditore in un negozio di abbigliamento, office-manager, senza mai abbandonare la sua propensione per l’arte nel senso più complesso del termine. Non solo: posa per nomi illustri della fotografia contemporanea, tra cui ricordiamo Ainer Fetting, Terry Richardson, Arthur Tress, Attila Richard Lukacs, Jean Marc Prouveur.
La sua fotografia, quasi specchio della sua poesia, vive molto di quel concettualismo che parte e si nutre dalle espressioni iperrealistiche di una società in radicale opposizione e marginalità, esaltandone mascolinità e virilità, spontaneità e sincerità, di quella componente umana tipica della gioventù di un sottoproletariato urbano, genuina, a volte violenta, ma sempre immersa in una tensione continua verso la trasgressione e, quindi, verso il godimento a pieno titolo e non timoroso di affetti, passioni, amori. L’alienazione culturale si percepisce anche nelle ermetiche ed essenziali produzioni poetiche di Mogutin, fatte di una terminologia quotidiana, diretta, di rottura e di ribellione, tipiche dell’espressività di quella sottocultura adolescenziale di un’intera categoria di ragazzi dimenticati da una società aliena e alienante in cui, se vuoi entrare come componente a pieno titolo, devi essere disposto ad affrontare compromessi snaturanti e depersonalizzanti. È interessante notare come Mogutin abbia anche preso parte nel 1988 come attore e protagonista in un film del regista canadese Bruce LaBruce, “Skin Flick”. Le riviste “Solo”, “Risk”, “Argo”, “Vavilon”, “Novaja junost’” e l’antologia di letteratura russa gay Out of the blue hanno ospitato a pieno titolo le opere poetiche di Mogutin. Nel 2000 è insignito di uno dei massimi riconoscimenti internazionali di poesia, il premio Andrej Belyj, suscitando qualche scandalo e conseguenze nell’ambiente letterario russo. Qualcuno compara Mogutin a un novello Pasolini, tanto che il raffronto potrebbe trasparire come aulico dato che Moravia disse che “di poeti veri come Pasolini ne nascono tre ogni secolo”, a un Wilde o addirittura al suo compatriota e sempiterno Majakovskij. Occorre leggere le sue poesie per apprezzare la fondatezza e la sussistenza di simili comparazioni e, in particolare i seguenti volumi: la lirica e quasi mitologica raccolta di composizioni che vedono allegorie tali da comparare l’eroe a un gigante sessuale, Uprazhnenija dlja Jazyka [Esercizi per la Lingua] (New York 1997); la raccolta realistica incentrata sulla rappresentazione della vita newyorkese, fatta di contraddizioni e di affascinanti scenari umani, Amerika v moikh shtanakh [L’America nei miei calzoni] (Tver’ 1999); Sverkh-chelovecheskie superteksty [Supertesti sovrumani] ( New York 2000), un misto di genere poetico e prosaico, quasi un esercizio di vitruosismo linguistico e di ricerca; la provocatoria e provocante Roman s nemtzem [Storia con un tedesco] (Tver’ 2000), una serie di racconti autobiografici, dove lo stile non si fa nessun tipo di esitazione di diventare crudo, gretto, grezzo, primordiale e incisivo nel manifestare quelle fantasie sado-masochistiche anticonvenzionali. La sua intraprendenza ha portato il giovane Mogutin a fondare una rivista artistico letteraria in lingua russa, “Magazinnik”, in eterno movimento e in eterna ricerca letteraria quasi “on the road” tra New York e Mosca, nella lettura di spaccati sociali e umani variegati e differenti.
La sua dichiarata omosessualità, sempre palesata ed espressa senza nessun tipo di inibizione, nonostante l’ostilità dell’ambiente in cui è cresciuto e si è formato, lo ha portato ad apprezzare un’altra figura di poeta russo omosessuale morto appena quarantenne, Evgenij Charitonov, di cui ha curato la pubblicazione di due volumi di poesie.
Le sue opere figurative sono state esposte, pertanto, al MoMA PS1 e Museo di Arti e Design di New York; Yerba Buena Center for the Arts di San Francisco; Stazione Museo di Arte Contemporanea di Houston, Moscow Museum of Modern Art; Australian Centre for Photography di Sydney, Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam; Overgaden Institute of Contemporary Art di Copenaghen; estone KUMU Art Museum di Tallinn, il Museo d’Arte di Haifa in Israele, e il Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León ( MUSAC) in Spagna. Le sue opere sono apparse anche su riviste del calibro di Flash Art, Artus, Modern Painters, iD, Visionaire, L’Officiel Hommes, L’Uomo Vogue, Stern, e il New York Times.
Da ultimo possiamo gustare la sua arte esplosiva ed espressiva nelle figure di giovanissimi ragazzi del sottoproletariato urbano russo, tra solitudine e tenero attaccamento a una ricerca di sé stessi attraverso un confronto continuo con gli altri, in una precarietà esistenziale densa di poeticità, presenti e immortalate nelle due monografie fotografiche Lost Boys e NYC Go-Go (powerHouse Books, 2006 e 2008).
Mogutin esprime questa espressività artistica poliedrica attraverso un’esperienza esistenziale che lo ha visto in prima persona pagare i suoi debiti per essersi sempre espresso in modo radicale e onesto, sincero, aperto, trasparente, quindi spontaneo e scoraggiante verso chi ne è spettatore e lettore. Spesso, come scrive in una sua poesia, Mogutin sogna di tornare in Russia e vedersi soggetto di una terribile decisione di amputargli le gambe. Si legge e si percepisce in questo la mancanza della sua lontana terra, del suo paese, misto a quella consapevolezza di non essere accolto, nonostante continui ad avvertire l’esigenza di ritornare a vivere pienamente la sua esistenza in un contesto a lui familiare.
L’angoscia per questa privazione è percepita nella sua letteratura e nella sua produzione figurativa, mantenendo come metodo vivo e utile quello di osservare con l’occhio, quasi disincantato e privo di malizia e patologico pudore, l’esibizionismo spigliato altrui, in quanto la sua arte ama “documentare l’intimità” e soggetti “in situazioni vulnerabili”: in questo possiamo affermare che Mogutin sia il poeta e il fotografo a tuttotondo di un’ingenua primordialità dell’essere umano, incontaminato e incondizionato, carnale quanto eccitante.