“Gli israeliani hanno veramente accettato gli omosessuali come dato di fatto … e se accetti i gay come dato di fatto, rimane solo qualche barriera sociale da superare… Quando sono arrivato qui per adattare una serie televisiva, lo sapevano che ero gay” ha affermato il regista israeliano Uchovsky, una delle firme più conosciute di una cinematografia post moderna all’avanguardia sullo scenario internazionale, emozionante, di contenuto e dall’impatto estetico unico. Qualcuno ha potuto affermare come Israele abbia garantito la costituzione di una società imperniata sui valori di integrazione e di pari opportunità e garanzie per le persone a orientamento lgbt. E questo qualcuno, di solito, non si trova isolato e solo nel suo parere, ma affiancato da una cultura che dagli anni 80, inizio della “rivoluzione gay”, a oggi ha visto questo Paese diventare uno degli stati in cui “è bello essere gay”, citando sempre lo stesso regista. Israele è una vera e propria enclave in un Medio Oriente spesso intollerante e integralista religioso tale da esprimere la più odiosa manifestazione di omofobia nei riguardi del “diverso”, nelle più moderate aspettative oggetto di angherie e di violenze, quasi sempre vittima di soprusi e di aggressioni, nonché di condanne penali detentive o, come il caso iraniano, capitali.
“Gli artisti hanno preso in mano la situazione alla fine degli anni ’80 e le persone si sono convinte ad andare nei tribunali per combattere la discriminazione” considera Pinkes, consigliere della città di Tel Aviv e portavoce delle relazioni LGBT per il sindaco, una delle città paragonabile a una nuova San Francisco degli anni d’oro di Castro Street e del grande movimento di emancipazione sessuale e civile degli anni 70.
Il Comune israeliano, vera capitale civica di uno stato piccolo ma denso di contaminazione sociale, è da tempo attento ad attivare canali e strumenti adeguati a prevenire e reprimere ogni espressione omofoba e discriminatoria, nonché a provvedere a istituti utili a garantire la pari dignità e l’eguaglianza tra i cittadini, a prescindere dall’orientamento di questi. Non solo, ma occorre affermare quanto la grande metropoli dallo stile “europeo” abbia fatto della promozione dei diritti un trampolino di lancio per investire nel settore turistico a tematica lgbt. Non è mera volontà commerciale di battere cassa a favore dello stesso ente o delle associazioni coinvolte. È, questa, una conseguenza naturale di un sostrato sociologico dove le differenze diventano ricchezza. Esiste ancora in Israele un’area estremista ortodossa di religiosi che non concepiscono l’omosessualità: questa minoranza è netta ed è mantenuta esterna da ogni influenza politica e istituzionale funzionale a scardinare quelle basi valoriali di una civiltà progredita dal punto di vista liberale e del rispetto dei diritti fondamentali del singolo individuo. I fanatismi teocratici mediorientali, che antepongono la massa all’autoaffermazione del singolo individuo, sono tenuti lontani mantenendosi, così, pure esternazioni parossistiche poco rilevanti: ricordiamo un episodio drammatico, quello dell’agosto 2010, in cui un terrorista fece strage all’interno di uno dei locali gay più storici di Tel Aviv, “Agudah”, “associazione israeliana per i diritti del singolo”, dove morirono due attivisti e furono ferite diverse persone. Così come ricordiamo la gay parade di qualche anno fa quando un integralista ebreo ferì a pugnalate tre partecipanti a una delle manifestazioni più importanti nel panorama internazionale. Questi episodi furono non solo condannati, ma anche perseguiti da parte delle autorità giudiziarie, e fortemente denunciati in modo unanime da tutte le rappresentanze politiche, in primis il capo dello stato e il presidente del consiglio israeliani, i quali, il giorno dopo l’attentato sanguinario al locale, organizzarono una mobilitazione sociale fortemente partecipata dove ebbero occasione di ribadire come simili crimini non potessero scalfire l’identità di un paese attento ai diritti del singolo essere umano e della libertà civile. Nell’esercito israeliano, in tempi in cui anche negli Stati Uniti vigeva la norma consuetudinaria del “don’t ask don’t tell”, ossia l’impossibilità per un soldato di esprimere liberamente la propria omosessualità, la questione gay si è evoluta tanto da vedere generali dell’esercito incitare le reclute a sbrigarsi rivolgendosi loro, in tono scherzoso, al femminile. È interessante riportare un aneddoto che assume significato esemplificativo di un contesto fortemente tollerante e integrante, in altri paesi, invece, ancora fortemente omofobo ed escludente. Il 13 e il 14 marzo 2006 durante la festa del Purim, carnevale ebraico, il reparto più “rainbow” dell’esercito israeliano, reparto 8200 di Tsahal, ha indetto un concorso per la più bella drag queen tra i soldati, dove quella dal costume più sgargiante e scintillante, indossato su strepitosi tacchi a spillo e con succinte ed eleganti minigonne e fantasmagoriche parrucche, avrebbe avuto un riconoscimento. Altri tempi rispetto a quelli narrati nell’opera del regista Fox, “Yossi and Jagger”, dove i protagonisti sono due militari gay che devono vivere di nascosto il proprio amore e la propria passione in una trincea nemica e alienante. Quella situazione è ormai parte di un passato che ha visto un superamento grazie anche all’uso culturale e sociale della pellicola.
Il rispetto, quindi, come dice Angelo Pezzana, è la “parola magica” di un luogo dove spiagge, bar, locali notturni, ristoranti sono poli di attrazione aggregativi di una comunità mondiale di turisti, non privi di interesse culturale misto a curiosità di conoscere dal vivo una realtà spesso filtrata da una comunicazione mediatica di massa generalizzante e poco puntuale. La vera caratteristica di Israele, il suo bel volto in uno dei contesti più affascinanti del Medio Oriente, viene vissuta e agita grazie al progetto proposto da Angelo Pezzana, il cui “scopo è far conoscere Israele ai gay e alle lesbiche italiane, impegnati nel movimento e non”, scrive nella presentazione, e di dare avvio a “un approccio fuori dagli schemi verso un paese molto noto ma poco conosciuto”. Dal 23 al 30 agosto si terrà in diverse città israeliane un vero e proprio tour che potrà portarvi in diversi contesti e prendere contatto con altrettanto diverse realtà interne a un mondo e universo ricco e molteplice di liberazione ed emancipazione dell’individuo. Conoscere la cultura di questo Paese è uno degli obiettivi promossi dalle istituzioni tanto da vedere qualche anno fa Ivrì Lider, uno dei più noti giovani cantanti israeliani, andare in differenti campus americani, dove la sua fama acquisisce livelli incommensurabili, per parlare della situazione israeliana, senza pregiudizi e senza approcci ideologici, in cui le persone lgbt sono considerate cittadine complete. La destra al governo ha avuto occasione di realizzare un passo in avanti rendendo nella propria piattaforma politica l’affermazione dei diritti delle persone lgbt. Tant’è che sono diverse le storie e le esperienze di cittadine e cittadini palestinesi e di altri stati mediorientali che cercano e chiedono, spesso ottenendolo, rifugio umanitario in Israele.
Il riconoscimento della pari dignità di tutti gli esseri umani e i diritti delle persone lgbt e della loro emancipazione sono principi fondamentali che hanno visto, qualche anno fa al Gay Pride di Colonia, sfilare insieme profughi persiani, sotto le bandiere del proprio paese prima della rivoluzione integralista komeinista, con la delegazione israeliana del movimento lgbt: un evento, questo, che è quasi messaggio di pace e fratellanza tra due governi e due stati spesso in conflitto e fortemente ostili. Un esempio è questo di come spesso la società civile possa essere stimolo e monito per governanti e amministratori, afflitti da una cecità e spesso da preconcetti dalle drammatiche conseguenze.
In quella circostanza il messaggio di amicizia tra i cittadini di stati da sempre avversi per motivi politici, che niente hanno a che vedere con l’universalità dei diritti, che sono prepolitici proprio perchè umani, ha contaminato anche altre delegazioni presenti al Pride di Colonia, tra cui quella russa e quella ucraina.
L’integrazione tra i popoli è, quindi, possibile se passa dall’affermazione del valore dell’essere umano. È quanto dice, per esempio, lo stesso regista Eytan Fox, in merito all’accusa di collaborazionismo con un governo spesso oggetto di denunce: “il fatto che i miei film abbiano successo all’interno dello stato israeliano mi dà la speranza che un giorno potremo accogliere ‘l’altro’, il diverso”, aggiungendo “quando stavo crescendo qui in Israele ed ho iniziato a fare cinema, ‘l’altro’ inteso come gay era trattato alla stregua del palestinese o dell’arabo”. “Quindi – conclude Fox – forse sono troppo ottimista ma sento che la capacità di amare personaggi gay un giorno diventerà anche la capacità di capire e condividere i nostri vicini, ora nemici ma in un probabile futuro amici [cioè i palestinesi].”
E’ necessario sottolineare, e quanto mai sarà possibile verificarlo durante il lungo soggiorno predisposto da Angelo Pezzana, quanto ormai l’omosessualità in Israele sia considerabile come dato di fatto, primo passo per abbattere ogni barriera sociale ancora esistente per una piena affermazione dell’integrità di qualsiasi cittadino.
Israele vanta dell’unica cantante transeussale vincitrice dell’Eurofestival, Dana International, più volte costretta ad annullare propri tour per pressioni ideologiche di avversione allo stato di Israele, così come qualche anno fa le stesse autorità madrilene non permisero la partecipazione della delegazione del movimento lgbt israeliano per futili e generici motivi di sicurezza.
Sono, queste, manifestazioni puerili difronte alla forza e alla rilevanza della cultura e del confronto visti come ponte di dialogo, soprattutto quando l’accettazione e la non discriminazione sono presupposti di superamento di odi e di avversità integraliste e spesso preventive e prevenute. Yossi Levy, espressione importante del ministero degli esteri israeliano, parla di Israele come “l’unico paese in tutto il Medio Oriente dove si tengono parate Gay Pride, dove gli omosessuali sventolano le loro bandiere e godono di diritti e rispetto”. Tel Aviv riassume su di sé questa valenza divenendone quasi esempio reale di un clima rilassato e informale della vita di tutti e dove i punti di aggregazione più moderni e piacevoli sono i locali lgbt che danno una tonalità frizzante ed effervescente alla vita notturna. 70000 i partecipanti all’ultimo Gay Pride nella città capitale culturale di Israele: ed è questo un dato che conferma come questo paese investa molto in un ambito spesso disconosciuto, ignorato, tante volte minato dalla violenza omofoba in altri contesti geografici, mediorientali ma anche europei, da cui il nostro paese non ne è escluso.
Possiamo concludere pensando che sabato 26 maggio sarà importante e interessante nella sede della nostra associazione Milk, in Via Soperga 36 a Milano, ospitare Angelo Pezzana per tuffarci in un panorama a noi spesso ignoto a causa di preconcetti che assumono configurazioni emarginanti e di chiusura, di frazione e di divisione preconcetta. Sarà, quindi, occasione questa di assaggiare quella vibrazione gay che solo Tel Aviv e altre città israeliane possono garantire in un’analisi laica e non manichea di una realtà sociale complessa quanto attraente.